Dal 2022 i mercati hanno performato in modo negativo, sia gli azionari che gli obbligazionari.
La ragione principale è l’inflazione schizzata a livelli che non si vedevano da tempo. Questo ha comportato un decremento dei valori dei portafogli degli investitori, i quali si chiedono se è meglio vendere in perdita per non subire ancora o mantenere il portafoglio inalterato attuando un approccio di lungo termine. Alla domanda è difficile dare una risposta secca e univoca, perchè ogni situazione è un caso a sé. In linea generale, consiglio gli investitori ad adottare un approccio di lungo termine. Le scarse prestazioni di 1 o 2 anni non sono sempre un segnale che è il momento di vendere. La storia, piena di corsi e ricorsi, ci dimostra che in media chi ha avuto il sangue freddo di restare investito è stato ampiamente ricompensato. In effetti, molti dei cali di mercato dell’ultimo ventennio, inclusa la grande crisi finanziaria del 2008 e il crollo del marzo 2020, sono poi stati ampiamente superati dai mercati. Gli investitori che hanno sopportato questi tempi difficili sono quelli che ne sono usciti forse nella forma migliore. A nessuno piace rimetterci denaro. Quando guardiamo il nostro portafoglio finanziario, mentre i segni “più” ci mettono tranquillità, quelli “meno” ci provocano uno stress difficile da gestire. A volte tentiamo di non pensarci, ma spesso è impossibile resistere: troppo forte la voglia di controllare se quella posizione colorata di rosso si stia riprendendo o al contrario stia affondando. Ecco perché, ogni qual volta ci troviamo davanti a un investimento che non sta dando i frutti sperati, ma anzi, ci sta regalando dispiaceri, la domanda che ci si pone è sempre la stessa: liquidarlo per arginare le perdite o aspettare sperando in tempi migliori? La verità è che prendere decisioni in campo finanziario non è mai facile: cosa comprare, quando vendere, quanto resistere. Anche per un investitore esperto, spesso non è così scontato capire se si è fatta la mossa giusta. Certo, se un determinato investimento dovesse vivere un lungo periodo di prestazioni inferiori alla media, la pazienza potrebbe esaurirsi e forse è meglio vendere. Questo potrebbe accadere anche quando gli obiettivi degli investitori cambiano nel tempo in base a dove si trovano nel loro ciclo di vita, alla loro attitudine al rischio e alle circostanze finanziarie. Periodicamente è sempre utile fare un passo indietro ed esaminare la propria situazione finanziaria. Se gli obiettivi di investimento o l’orizzonte temporale è cambiato, può avere senso, come detto, liquidare le posizioni in rosso, anche se questo vuol dire incassare una perdita. Ma quando non vendere ? Mai farsi prendere dal panico e vendere d’impulso a seguito di tutto quel flusso di notizie (di cronaca, economiche, politiche, ecc.) che giornalmente sommerge tutti noi. È indubbio che questo tipo di notizie abbia un effetto sui mercati, ma è anche vero che molto spesso i mercati hanno digerito e prezzato quella informazione prima che venisse comunicata dai media. Insomma, se si decide di vendere un fondo a causa di una specifica notizia, si è molto probabilmente già in ritardo.
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L'aumento dei tassi di interesse è una delle strategie che le banche centrali utilizzano per cercare di controllare l'inflazione. L'inflazione è l'incremento generale e sostenuto dei prezzi dei beni e dei servizi in un'economia nel tempo. Quando l'inflazione è troppo alta, può avere effetti negativi sull'economia, come la perdita del potere d'acquisto della moneta e la minaccia della stabilità economica.
Ecco perché le banche centrali, come la Federal Reserve negli Stati Uniti o la Banca Centrale Europea nella zona euro, cercano di mantenere l'inflazione a livelli stabili e moderati. Una delle principali armi a loro disposizione è il tasso di interesse. Ecco come funziona il meccanismo:
In sintesi, l'aumento dei tassi di interesse è uno strumento utilizzato per rallentare la crescita dell'economia e ridurre l'inflazione, agendo sulla domanda di prestiti e sulla spesa. |
AutoreAndrea Fumasi Archivio
Ottobre 2024
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