Andrea Fumasi Consulente Finanziario
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MOBILE o IMMOBILE ?

28/2/2023

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E’ l’eterna lotta tra il bene immobile e l’investimento finanziario ed è una delle principali domande che solitamente si pone il risparmiatore.
Ma quali sono gli aspetti positivi e quelli negativi di un’investimento immobiliare ?
Aspetti POSITIVI :
  1. Si possiede un bene reale, su cui riesci ad avere un certo grado di controllo sulla qualità fisica anche attraverso ulteriori investimenti (di tempo e/o denaro)
  2. Ipotizzando di metterlo a rendita con un contratto di lunga durata, esso fornirà un flusso di reddito supplementare che ti aiuterà a compensare i costi di un eventuale mutuo e quelli di manutenzione.
  3. In un arco di tempo più lungo, il valore della proprietà stessa potrebbe aumentare (si spera più dell’inflazione), fornendo eventualmente un guadagno in conto di capitale in caso di vendita.

Aspetti NEGATIVI :
  1. Acquistare un immobile significa optare per un investimento significativo in un’unica asset class. Tienilo presente in ottica di diversificazione del portafoglio.
  2. Il costo finanziario del mantenimento di una proprietà può essere importante, sia in termini di manutenzione, sia di tempo per assistere il locatario.
  3. I beni reali come le proprietà immobiliari sono generalmente illiquidi, il che significa che non è possibile venderli rapidamente sui mercati secondari, a differenza delle attività finanziarie come le azioni. Qui la considerazione dell'orizzonte temporale dell'investimento è importante. Se hai bisogno in un breve lasso di tempo del denaro investito, è probabile che una proprietà immobiliare non sia la soluzione migliore.
  4. Per molti investitori l'acquisto di un immobile implicherà la richiesta di prestito a un istituto di credito. Se per qualche ragione i prezzi degli immobili dovessero scendere la tua posizione finanziaria potrebbe avere un notevole peggioramento. Se i canoni di locazione o il tasso di occupazione della proprietà dovessero calare, anche la tua capacità di onorare il debito ne risentirebbe. Inoltre, nel momento in cui scrivo, siamo in una fase di rialzo dei tassi, facendo aumentare così il costo del debito.
  5. Ricorda il diverso trattamento fiscale di una eventuale seconda casa, sia relativamente alle tasse per l’acquisto (imposta di registro al 9%, invece che al 2% nel caso della prima casa, applicato sul valore catastale dell’immobile) che a quelle annuali (Imu e Tari).
Risulta quindi evidente come non esiste una risposta univoca su dove investire il proprio denaro, la soluzione migliore sarebbe diversificare, ovvero affrontare entrambi gli investimenti, ma mi rendo conto che non sempre risulta possibile.
La risposta è dentro ciascuno di noi, in base alle nostre esigenze e soprattutto alla situazione finanziaria di ognuno.




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TASSAZIONE CAPITAL GAIN

17/2/2023

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Nel precedente post ho illustrato la differenza tra redditi di capitale e redditi diversi e come questi ultimi concorrono, in caso di guadagno, a formare il “capital gain”.
L’aliquota applicata sul capital gain derivante dai redditi diversi è del 26% e viene calcolata successivamente ad un’eventuale compensazione con minusvalenze antecedentemente accumulate.
Esempio :

- 15/01/2023 Acquisto 100 azioni del titolo “X” ad un prezzo di 13,42, spendendo quindi 1.342 euro.
- 28/01/2023 Vendo le stesse 100 azioni “X” a un prezzo di 10,88, incassando quindi 1.088 euro.
Avrò quindi, avendo venduto in perdita, maturato una minusvalenza di euro 254 che potrò portare a compensazione con eventuali future plusvalenze per i successivi 4 anni.
- 03/02/2023 Acquisto 250 azioni del titolo “Y” ad un prezzo di 10,75, spendendo quindi 2.687,5 euro.
- 10/02/2023 Vendo le stesse 250 azioni “Y” a un prezzo di 15,66, incassando quindi 3.915 euro.
Avrò in questo caso, avendo venduto in guadagno, maturato una plusvalenza di euro 1.227,5.
Se NON avessi avuto delle minusvalenze accantonate, mi vedrei applicata sul guadagno avuto (1.227,5 euro) un’aliquota del 26% pari ad 319,15 euro, ma dato che mi trovo con una minusvalenza maturata di 254 euro, il calcolo sarà quindi 1.227,5 euro (guadagno) – 254 euro (minusvalenza) = 973,5 euro su cui verrà applicata l’aliquota con un risultato di 253,11 euro in luogo dei 319,15.
Al contrario, i dividendi azionari o le cedole obbligazionarie (cioè i redditi di capitale) non generano capital gain.
Inoltre, essendo tassati immediatamente come ritenute alla fonte a titolo di imposta con aliquote che vanno del 12,5% per le cedole dei Titoli di Stato al 26% per dividendi, cedole obbligazionarie o interessi di conto corrente, non possono generare crediti/debiti da compensare con altri debiti/crediti pregressi. Per questa ragione è fondamentale ricordarsi che i redditi di capitale non sono mai compensabili con i redditi diversi.
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CAPITAL GAIN, REDDITI DIVERSI e REDDITI DI CAPITALE

15/2/2023

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Nei proventi di natura finanziaria non sono i redditi di capitale, ma i redditi diversi a generare il capital gain.
Ma cosa significa capital gain (o plusvalenza) ?
Con il termine capital gain (guadagno in conto capitale) si identifica la differenza, tra comprare e successivamente vendere a un prezzo più ALTO un titolo azionario o obbligazionario, questo è eventualmente compensabile con minusvalenze pregresse.
Su questo guadagno e solo sul guadagno, mi raccomando, non su tutto l’importo dell’operazione, viene applicata una tassazione, a meno che non ci siano delle minusvalenze da poter compensare.
Le minusvalenze sono l’esatto contrario, ovvero la differenza tra comprare e successivamente vendere a un prezzo più BASSO un titolo azionario o obbligazionario.
Queste minusvalenze accumulate si possono portare in detrazione di eventuali plusvalenze per i successivi 4 anni dalla loro creazione.
ATTENZIONE…...i redditi da capitale non sono mai compensabili con i redditi diversi.

Facciamo ora un po' di chiarezza tra redditi diversi e redditi di capitale.

Quali sono i redditi diversi?
Si tratta delle plusvalenze o minusvalenze generate:
- Dalla negoziazione di strumenti finanziari (come ad esempio azioni e obbligazioni)
- Dal rimborso dei titoli a reddito fisso(come ad esempio i titoli di stato e le obbligazioni)
- Dalla cessione di partecipazioni in società o enti e diritti relativi
- Dalla cessione (vendita) di quote di OICR dove la differenza tra valore di cessione/rimborso e valore di carico risulti negativo

Quali sono i redditi di capitale?
I "redditi di capitale" sono utili che derivano direttamente dall'investimento, sono la remunerazione prodotta dallo strumento finanziario e che spetta al titolare. Si distinguono in:
- Interessi su conti correnti e depositi a risparmio
- Interessi/cedole e scarti di emissione dei titoli a reddito fisso (come ad esempio i titoli di stato e le obbligazioni)
- Dividendi
- Differenza positiva tra valore di cessione/rimborso e valore di acquisto/sottoscrizione degli OICR (compresi gli ETF)
- Distribuzione di proventi periodici da parte degli OICR (compresi gli ETF)
- Scarto prezzo dei "pronti contro termine" su titoli (differenza tra prezzo di acquisto e prezzo di vendita)

Per la tassazione del capital gain vi rimando al prossimo blog.
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I 5 MOTIVI

10/2/2023

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Una domanda che a volte mi pongo è :
"perché per investire le persone dovrebbero rivolgersi a me ?"

Questi sono i 5 motivi che possono soddisfare la mia e soprattutto la vostra domanda :
1. Conoscenza e esperienza: come consulente finanziario, ho acquisito una conoscenza approfondita del mercato finanziario e dei prodotti finanziari e posso aiutare i clienti a prendere decisioni informate sui loro investimenti.
2. Obiettività: fornendo consigli indipendenti, sono in grado di aiutare i clienti a prendere decisioni finanziarie informate, senza essere influenzato da interessi o motivazioni personali.
3. Prospettive a lungo termine: come consulente finanziario, sono in grado di aiutare i clienti a sviluppare una strategia finanziaria a lungo termine che tenga conto dei loro obiettivi a lungo termine e del loro profilo di rischio.
4. Gestione del rischio: sono in grado di aiutare i clienti a comprendere i rischi associati ai loro investimenti e a identificare le opportunità per ridurre al minimo questi rischi.
5. Accesso a opportunità di investimento esclusive: come consulente finanziario, ho accesso a opportunità di investimento esclusive e posso aiutare i clienti a investire in prodotti finanziari che potrebbero non essere disponibili sul mercato aperto.
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ASSET ALLOCATION.....ma che significa ?

7/2/2023

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Molto spesso sentiamo parlare di “Asset allocation” letto su articoli di finanza o sentito da chi gestisce i nostri portafogli.
Ormai con l’imperversare di molti termini anglofoni, sopratutto in campo finanziario, dobbiamo giocoforza abituarci.
​Letteralmente significa “Allocazione patrimoniale”, ma nel concreto di cosa si tratta ?

L'asset allocation è il processo di divisione di un portafoglio di investimenti tra diverse categorie di attività, come azioni, obbligazioni e liquidità. L'obiettivo dell'asset allocation è bilanciare rischio e rendimento considerando la tolleranza di un investitore per il rischio, l'orizzonte temporale dell'investimento e gli obiettivi finanziari. Diversificando gli investimenti in diverse classi di attività, un investitore può potenzialmente ridurre l'impatto della volatilità del mercato sul proprio portafoglio.
L’asset allocation in generale è suddivisa in tre ulteriori due macro categorie, ovvero essere orientata secondo due diversi approcci. In tal senso si parla correntemente di asset allocation strategica e tattica.
  • L’asset allocation strategica orienta gli investimenti scegliendo di organizzarli secondo un orizzonte temporale di medio e lungo periodo ed è sostanzialmente la base della costruzione di un portafoglio.
  • L’asset allocation tattica: è invece un’allocazione basata su un orizzonte di breve termine e quindi basata su una visione del mercato contingente rispetto a quella strategica. In genere questo tipo di asset allocation è impiegato per adattare l’allocazione strategica a specifici e temporanei trend del mercato e viene effettuata con micro spostamenti all’interno delle asset.


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PENSIONI......QUALE FUTURO ?

3/2/2023

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E’ un futuro previdenziale da incubo quello che ha tratteggiato il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, nel rapporto annuale dell’Istituto presentato all’inizio di luglio a Roma.
Facendo due conti possiamo dedurre che in prospettiva la pensione pubblica sarà pari circa al 50% del reddito medio della vita lavorativa. Nell’intero rapporto quello che sorprende non sono tuttavia tanto le cifre delle prospettive previdenziali, ma è soprattutto una filosofia di giudizio che sembra riservare solo al sistema statale la possibilità di garantire un futuro dignitoso ai lavoratori. Troppo tardi l'Italia si è mossa facendo troppo poco per incentivare il sistema poggiato sui famosi 3 pilastri.
A fianco della previdenza pubblica, infatti, a cui spetta il compito di garantire una rendita proporzionata ai contribuiti versati e comunque non inferiore al minimo vitale, vi dovrebbero essere un secondo pilastro costituito dalla previdenza complementare e professionale, e un terzo alimentato dal risparmio privato.
Solo nel 1993, infatti, l’Italia ha varato la legge che ha istituito e regolamentato i fondi pensione, garantendo pur limitate agevolazioni fiscali e permettendo ai singoli lavoratori di utilizzare nei fondi le quote che venivano accantonate dalle aziende per il Tfr (Trattamento di fine rapporto).
Dopo trent’anni sono quasi 9 milioni i lavoratori che hanno progressivamente aderito ai fondi pensione. Pochi, in pratica solo un terzo di quanti in teoria avrebbero potuto aderire. Un risultato sostanzialmente modesto che è anche un segno della mancanza di quella educazione finanziaria di base che dovrebbe motivare le scelte di risparmio gestito di lungo periodo.
Nel concreto dovrebbe apparire del tutto naturale che la pensione pubblica copra “solo” tra i 50 e il 60% del reddito medio della vita lavorativa. La pensione complementare dovrebbe aggiungere un 25-30%. Se a queste quote aggiungiamo un 10-15% derivante dal risparmio privato (anche grazie ai piani di accumulo delle principali istituzioni finanziarie), abbiamo che negli anni della pensione il lavoratore può mantenere lo stesso livello e la stessa qualità di vita degli anni lavorativi.
Il pensiero più diffuso invece è che la pensione pubblica dovrebbe dare una garanzia pressoché totale. Non è e non sarà così. A meno di trasformare l’Inps in un grande ente di assistenza avviando lo Stato verso la bancarotta: perché sarà impossibile finanziare a lungo con il debito una spesa corrente, peraltro crescente, come quella pensionistica.
🤔RIFLETTETE🤔
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"INFLAZIONE"......CHE PAROLONA !

1/2/2023

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In questi ultimi mesi la parola “inflazione” è sulla bocca di tutti. Dopo diversi anni è tornata all’attacco. Ma sappiamo esattamente di cosa si tratta ?

L’inflazione indica una crescita generalizzata e continuativa dei prezzi dei beni nel tempo. Detto in altri termini, significa che con lo stesso ammontare di moneta è oggi possibile acquistare una quantità di beni inferiore rispetto al passato.

Inflazione core
Core è un termine inglese. L’inflazione core è un particolare tipo di inflazione che viene calcolata senza tenere conto dei beni soggetti a forte volatilità: sono esclusi infatti i generi alimentari e i costi dell’energia. Si tratta di un indicatore utilizzato soprattutto nelle valutazioni di politica monetaria.
L’inflazione viene calcolata sulla base di un paniere di beni che in Italia è definito dall’Istat, l’Istituto nazionale di statistica. Questo indicatore non è importante soltanto per conoscere il potere di acquisto delle famiglie, ma serve anche a orientare le politiche monetarie delle banche centrali.

Paniere
il paniere è lo strumento utilizzato dall’Istat per rilevare i prezzi al consumo di beni e servizi nel mercato e calcolare così l’inflazione. Viene aggiornato ogni anno e nel tempo è profondamente mutato. Se infatti all’inizio il paniere era suddiviso in cinque capitoli di spesa per un totale di 59 prodotti, oggi i capitoli sono ben 12 e coprono un ammontare complessivo di 1772 prodotti.

Inflazione “buona” e “cattiva”
Premessa: quando l’inflazione viene tenuta sotto controllo ed è generata da fenomeni positivi, i prezzi contribuiscono a far aumentare il Pil e di conseguenza cresce anche l’economia. Questa è quella che in gergo viene chiamata la “buona” inflazione, poiché generata da shock positivi di domanda aggregata: la domanda è robusta, l’occupazione è elevata e le aspettative sono ancorate attorno al target desiderato. L’inflazione “cattiva”, al contrario, è generata da shock dal lato dell’offerta. In questo caso i prezzi tendono ad aumentare e di conseguenza l’economia rallenta. L’esempio classico è quello di un rialzo dei prezzi energetici, che si traduce in una riduzione del reddito reale.
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    Andrea Fumasi

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