Molti di voi, soprattutto della mia età si ricorderanno come agli inizi degli anni ‘90 andassero di moda i Certificati di deposito (CD) che venivano sottoscritti presso le banche. Per non indurvi in confusione, visto che Certificates in italiano si traduce con Certificati, vorrei spiegarvi in modo sintetico la differenza tra i due. Mentre i Certificati di deposito sono sono titoli vincolati e trasferibili che attribuiscono al possessore il diritto al rimborso del capitale più un interesse, i Certificates sono titoli decisamente più complessi, essendo dei “derivati cartolarizzati”, emessi generalmente da Banche d'investimento per offrire agli investitori strumenti flessibili e idonei a soddisfare diverse esigenze di investimento e in diversi scenari di mercato. Si tratta di strumenti finanziari che possono essere indicizzati a diverse tipologie di sottostanti: indici o titoli azionari, valute, commodities, etc.. Esistono molteplici forme di Certificates : - A capitale garantito/protetto: con garanzia del rimborso dell’intero capitale investito a scadenza - A capitale parzialmente garantito/protetto: con garanzia del rimborso solo di una parte del capitale investito a scadenza - A capitale condizionatamente protetto: con garanzia del capitale investito a scadenza solo al verificarsi di determinate condizioni. Anche le cedole hanno diversi metodi di calcolo : - Incondizionate - Condizionate - A memoria I Certificates, una volta emessi, vengono quotati principalmente su due mercati: Sedex di Borsa Italiana, o sul segmento Cert-X di EuroTLX, e tipicamente l’emittente opera come Market Maker o Liquidity Provider per garantirne la liquidità. MOLTO IMPORTANTE DA SAPERE 1. Il valore di mercato dei Certificates può essere volatile; 2. Potresti non ricevere alcun rendimento dall’investimento nei Certificates; 3. Potresti perdere, parte del capitale investito. I Certificates si qualificano come prodotti a complessità molto elevata, si consiglia di leggere e capire molto bene il prospetto informativo. Come ricordo sempre, un portafoglio deve essere BEN DIVERSIFICATO, in questo caso una piccola percentuale può essere composta da Certificates.
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Nel precedente post ho illustrato la differenza tra redditi di capitale e redditi diversi e come questi ultimi concorrono, in caso di guadagno, a formare il “capital gain”.
L’aliquota applicata sul capital gain derivante dai redditi diversi è del 26% e viene calcolata successivamente ad un’eventuale compensazione con minusvalenze antecedentemente accumulate. Esempio : - 15/01/2023 Acquisto 100 azioni del titolo “X” ad un prezzo di 13,42, spendendo quindi 1.342 euro. - 28/01/2023 Vendo le stesse 100 azioni “X” a un prezzo di 10,88, incassando quindi 1.088 euro. Avrò quindi, avendo venduto in perdita, maturato una minusvalenza di euro 254 che potrò portare a compensazione con eventuali future plusvalenze per i successivi 4 anni. - 03/02/2023 Acquisto 250 azioni del titolo “Y” ad un prezzo di 10,75, spendendo quindi 2.687,5 euro. - 10/02/2023 Vendo le stesse 250 azioni “Y” a un prezzo di 15,66, incassando quindi 3.915 euro. Avrò in questo caso, avendo venduto in guadagno, maturato una plusvalenza di euro 1.227,5. Se NON avessi avuto delle minusvalenze accantonate, mi vedrei applicata sul guadagno avuto (1.227,5 euro) un’aliquota del 26% pari ad 319,15 euro, ma dato che mi trovo con una minusvalenza maturata di 254 euro, il calcolo sarà quindi 1.227,5 euro (guadagno) – 254 euro (minusvalenza) = 973,5 euro su cui verrà applicata l’aliquota con un risultato di 253,11 euro in luogo dei 319,15. Al contrario, i dividendi azionari o le cedole obbligazionarie (cioè i redditi di capitale) non generano capital gain. Inoltre, essendo tassati immediatamente come ritenute alla fonte a titolo di imposta con aliquote che vanno del 12,5% per le cedole dei Titoli di Stato al 26% per dividendi, cedole obbligazionarie o interessi di conto corrente, non possono generare crediti/debiti da compensare con altri debiti/crediti pregressi. Per questa ragione è fondamentale ricordarsi che i redditi di capitale non sono mai compensabili con i redditi diversi. Nei proventi di natura finanziaria non sono i redditi di capitale, ma i redditi diversi a generare il capital gain.
Ma cosa significa capital gain (o plusvalenza) ? Con il termine capital gain (guadagno in conto capitale) si identifica la differenza, tra comprare e successivamente vendere a un prezzo più ALTO un titolo azionario o obbligazionario, questo è eventualmente compensabile con minusvalenze pregresse. Su questo guadagno e solo sul guadagno, mi raccomando, non su tutto l’importo dell’operazione, viene applicata una tassazione, a meno che non ci siano delle minusvalenze da poter compensare. Le minusvalenze sono l’esatto contrario, ovvero la differenza tra comprare e successivamente vendere a un prezzo più BASSO un titolo azionario o obbligazionario. Queste minusvalenze accumulate si possono portare in detrazione di eventuali plusvalenze per i successivi 4 anni dalla loro creazione. ATTENZIONE…...i redditi da capitale non sono mai compensabili con i redditi diversi. Facciamo ora un po' di chiarezza tra redditi diversi e redditi di capitale. Quali sono i redditi diversi? Si tratta delle plusvalenze o minusvalenze generate: - Dalla negoziazione di strumenti finanziari (come ad esempio azioni e obbligazioni) - Dal rimborso dei titoli a reddito fisso(come ad esempio i titoli di stato e le obbligazioni) - Dalla cessione di partecipazioni in società o enti e diritti relativi - Dalla cessione (vendita) di quote di OICR dove la differenza tra valore di cessione/rimborso e valore di carico risulti negativo Quali sono i redditi di capitale? I "redditi di capitale" sono utili che derivano direttamente dall'investimento, sono la remunerazione prodotta dallo strumento finanziario e che spetta al titolare. Si distinguono in: - Interessi su conti correnti e depositi a risparmio - Interessi/cedole e scarti di emissione dei titoli a reddito fisso (come ad esempio i titoli di stato e le obbligazioni) - Dividendi - Differenza positiva tra valore di cessione/rimborso e valore di acquisto/sottoscrizione degli OICR (compresi gli ETF) - Distribuzione di proventi periodici da parte degli OICR (compresi gli ETF) - Scarto prezzo dei "pronti contro termine" su titoli (differenza tra prezzo di acquisto e prezzo di vendita) Per la tassazione del capital gain vi rimando al prossimo blog. In questi ultimi mesi la parola “inflazione” è sulla bocca di tutti. Dopo diversi anni è tornata all’attacco. Ma sappiamo esattamente di cosa si tratta ?
L’inflazione indica una crescita generalizzata e continuativa dei prezzi dei beni nel tempo. Detto in altri termini, significa che con lo stesso ammontare di moneta è oggi possibile acquistare una quantità di beni inferiore rispetto al passato. Inflazione core Core è un termine inglese. L’inflazione core è un particolare tipo di inflazione che viene calcolata senza tenere conto dei beni soggetti a forte volatilità: sono esclusi infatti i generi alimentari e i costi dell’energia. Si tratta di un indicatore utilizzato soprattutto nelle valutazioni di politica monetaria. L’inflazione viene calcolata sulla base di un paniere di beni che in Italia è definito dall’Istat, l’Istituto nazionale di statistica. Questo indicatore non è importante soltanto per conoscere il potere di acquisto delle famiglie, ma serve anche a orientare le politiche monetarie delle banche centrali. Paniere il paniere è lo strumento utilizzato dall’Istat per rilevare i prezzi al consumo di beni e servizi nel mercato e calcolare così l’inflazione. Viene aggiornato ogni anno e nel tempo è profondamente mutato. Se infatti all’inizio il paniere era suddiviso in cinque capitoli di spesa per un totale di 59 prodotti, oggi i capitoli sono ben 12 e coprono un ammontare complessivo di 1772 prodotti. Inflazione “buona” e “cattiva” Premessa: quando l’inflazione viene tenuta sotto controllo ed è generata da fenomeni positivi, i prezzi contribuiscono a far aumentare il Pil e di conseguenza cresce anche l’economia. Questa è quella che in gergo viene chiamata la “buona” inflazione, poiché generata da shock positivi di domanda aggregata: la domanda è robusta, l’occupazione è elevata e le aspettative sono ancorate attorno al target desiderato. L’inflazione “cattiva”, al contrario, è generata da shock dal lato dell’offerta. In questo caso i prezzi tendono ad aumentare e di conseguenza l’economia rallenta. L’esempio classico è quello di un rialzo dei prezzi energetici, che si traduce in una riduzione del reddito reale. Le azioni Value sono contraddistinte da un prezzo di mercato inferiore all’ipotetico valore di equilibrio e quindi sono “penalizzate” dal mercato stesso. Solitamente in questa categoria troviamo società che si muovono su settori considerati ormai maturi, società solide ma con limitate prospettive di crescita, o aziende cicliche i cui profitti risultano essere volatili, elemento incorporato nel prezzo di mercato. La strategia denominata Value investing ha come principale obiettivo quello di cercare società solide ma temporaneamente svalutate dal mercato per realizzare un profitto dal riallineamento del titolo con il fair value.
Le azioni Growth hanno prezzo superiore a un ipotetico valore d’equilibrio (il fair value, appunto). In questo caso, il mercato implicitamente stima che la società produrrà nel futuro utili (di conseguenza ricavi e miglioramento dei margini) tali da giustificare l’attuale prezzo di mercato. Il settore Growth per eccellenza è quello tecnologico: molte aziende Growth appartengono a questo settore perché il mercato ha elevate attese di crescita per i prossimi anni e i prezzi incorporano appunto queste aspettative. Anche il settore farmaceutico è un settore Growth, grazie alla presenza dei brevetti che consentono alle società pharma di avere una protezione sugli utili. La strategia di Growth investing si fonda proprio sulla scelta di titoli con prospettive di crescita nel breve periodo superiore alla media.
I fondi di investimento sono prodotti finanziari rivolti ai risparmiatori che consentono, grazie alla sottoscrizione di quote di partecipazione al patrimonio collettivo, di fruire di una serie di vantaggi come la diversificazione del proprio investimento e la riduzione dei costi di transazione.
Come funzionano i fondi di investimento ? Chi decide di sottoscrivere un fondo di investimento acquista titoli per partecipare a profitti o perdite a seconda del numero di quote detenute in portafoglio. Leggermente diverso è il caso delle SICAV, le società di investimento a capitale variabile, che permettono ai sottoscrittori di diventare soci acquistando azioni e, di conseguenza, maturando i diritti degli azionisti. Chi gestisce il risparmio è la Società di Gestione del Risparmio (SGR), mentre alla banca depositaria del fondo viene affidata la vigilanza sui valori in gioco e deve controllare la regolarità delle operazioni fatte dalla SGR. I titoli acquistati sono quindi di proprietà di tutti i sottoscrittori e, per valutare l’andamento e il profilo di rischio del Fondo, si utilizza il benchmark: un parametro oggettivo costituito da uno o più indici che riassumono l’andamento dei mercati in cui opera il Fondo. Quali tipologie di fondi esistono? I fondi di investimento possono essere suddivisi in svariate categorie, a seconda della struttura, del funzionamento, del settore in cui operano e così via : 1. Fondi aperti e chiusi: i primi sono a capitale variabile e attribuiscono ai partecipanti libertà di entrata e uscita in qualsiasi momento, mentre per i secondi la sottoscrizione delle quote avviene in un’unica soluzione e il riscatto può essere chiesto solo alla scadenza. 2. Fondi comuni di investimento: con gli investimenti in fondi comuni i risparmiatori acquistano quote di partecipazione, collocate sul mercato da intermediari qualificati (SGR, sportelli bancari e promotori finanziari) soggetti al controllo di Consob e Banca d’Italia. 3. Fondi “armonizzati”: (ossia conformi alle direttive EU) prevedono una serie di vincoli agli investimenti a tutela dei risparmiatori, mentre i fondi “non armonizzati” (speculativi, riservati, fondi di fondi e Hedge Funds) danno maggiori libertà ma sono più rischiosi; 4. Fondi liquidità: fondi che non possono investire in azioni; 5. Fondi obbligazionari: sono i fondi che non possono investire in azioni ad esclusione dei Fondi Obbligazionari Misti 6. Fondi bilanciati: fondi che investono in azioni per importi dal 10% al 90% del portafoglio; 7. Fondi azionari: sono fondi che investono almeno il 70% del proprio portafoglio in azioni; 8. Fondi flessibili: possono scegliere liberamente se detenere azioni e in quale proporzione; 9. Fondi alternativi: hanno grande volatilità e in genere sono sfruttati dagli investitori che hanno molta liquidità, perché possono garantire un’alta diversificazione del portafoglio. Si dividono in Hedge Fund, Private Equity Fund e Venture Capital Fund. Rischi e vantaggi dei fondi di investimento : Il livello di rischio è variabile e viene indicato con chiarezza al momento della sottoscrizione del fondo. I rischi possono essere anche significativi, ma secondo le statistiche gli investitori italiani non si lasciano scoraggiare e guardano con favore ai fondi. È importante però che la valutazione di investimento sia fatta con prudenza, confrontando le varie offerte sul mercato e, soprattutto, conoscendone i meccanismi di funzionamento. Il drawdown è una parola che probabilmente senti e leggi spesso su articoli e media finanziari. Del resto, è un concetto a cui investitori ed operatori professionali sono molto attenti quando si valutano gli investimenti.
Il drawdown è la discesa, la correzione, da un precedente massimo relativo o massimo assoluto. Facciamo un esempio concreto. Ipotizza di comprare un titolo a 10 euro. Questo titolo sale poi a 12 euro, poi scende fino a 10,80 euro e poi risale fino a 13 euro. Nel periodo considerato, il drawdown è pari al 10%, pari alla correzione da un massimo di 12 euro fino al minimo a 10,80 euro. Nel periodo successivo il titolo da 13 euro scende fino a 10,40 euro per poi tornare a salire (ad esempio fino a 14 euro). A questo punto, abbiamo due drawdowns diversi. Il primo da 12 fino a 10,80 euro pari al 10% è un drawdown relativo, mentre il secondo, pari al 20% (da 13 euro fino a 10,40 euro), è il maximum drawdown. Più la tua ottica è di lungo termine, minore è l’importanza che hanno queste correzioni. Infatti, nel lungo periodo le perdite sul mercato vengono quasi sempre recuperate, quindi anche se si perde in certi momenti il 20% o il 30% alla fine tale perdita sarà recuperata e l’indice o il portafoglio sarà in profitto. E' molto più importante il drawdown di un intero portafoglio piuttosto che quello di un singolo titolo o fondo. E questo valore dipende in primo luogo dalla tua asset allocation. Ancora una volta ti dimostro che la ripartizione del tuo portafoglio tra azioni, obbligazioni e altri investimenti e, di fatto, la cosa più importante. Tuttavia, non è tutto e anche questo indicatore non deve essere sovrastimato, ma considerato sempre insieme ad altri elementi. Spesso parlando con amici ci sentiamo dire : "Ho comprato delle azioni e in poco tempo ho guadagnato x".
Ok, bravo....ma cosa sono le azioni ? Prima di fare il cosiddetto "trading", ovvero la compravendita in questo caso di azioni, è molto importante sapere a cosa andiamo incontro, ovvero prima di tutto serve sapere cosa sono le azioni. In parole semplici le azioni sono un modo per comprarsi una fetta di una società. Per esempio, se compri 100 azioni Enel, stai diventando un po' un piccolo padrone di quella società – le azioni sono, infatti, titoli rappresentativi del capitale di una società. Sulla carta anche la piccola ditta sotto casa tua, può emettere azioni. Le azioni sono anche un titolo di credito, cioè uno strumento che incorpora un diritto e ne facilita la trasmissione ad altri soggetti. Le azioni possono essere quotate o non quotate. Nel primo caso è più facile acquistarle o venderle ad un prezzo di mercato. Le azioni non quotate, invece, possono presentare grossi problemi al momento della vendita. Attraverso l'emissione e il collocamento delle azioni, le società per azioni finanziano la propria attività. L'azionista è un socio, e non un creditore, della società e quindi partecipa all'attività economica della società stessa sopportandone i rischi in caso di perdite. Rischi, peraltro, che sono limitati al valore delle azioni possedute. I diritti dell'azionista sono:
Le obbligazioni (a volte chiamate con il loro nome inglese, bond) sono titoli di debito emessi da una società o da un ente pubblico per finanziarsi che, nelle mani di un investitore, costituiscono titoli di credito che attribuiscono il diritto di percepire, secondo modalità prefissate, gli interessi e a scadenza il rimborso del capitale nominale. Le obbligazioni possono essere emesse da diversi soggetti: imprese, organizzazioni internazionali, Stati sovrani e altre pubbliche amministrazioni.
Ma quali sono i rischi delle obbligazioni? Ogni tipo di obbligazione può avere caratteristiche diverse, ma il rischio principale che le accomuna è che il debitore non riesca a ripagare, in parte o totalmente, quanto dovuto. In questo caso si parla di insolvenza o default. Se chi si indebita emettendo delle obbligazioni si trova in difficoltà oppure è già molto indebitato, le sue obbligazioni saranno considerate più rischiose. Al contrario, un’azienda sana in grado di generare profitti adeguati e con prospettive di crescita positive emetterà obbligazioni considerate meno rischiose. |
AutoreAndrea Fumasi Archivio
Ottobre 2024
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